INPS: pubblicata la circolare sul nuovo Bonus mamme 2025
Ultimo aggiornamento 30.10.2025
Contributo mensile di 40 euro per lavoratrici con almeno due figli
Con la circolare n. 139 del 28 ottobre 2025, l’INPS ha fornito le istruzioni operative relative al nuovo Bonus mamme, il contributo economico introdotto dal decreto-legge n. 95/2025, convertito nella legge 8 agosto 2025, n. 118.
Destinatarie e requisiti
Il Bonus è destinato alle lavoratrici con almeno due figli, secondo le seguenti modalità:
- Madri con due figli: il beneficio spetta fino al compimento dei 10 anni del secondo figlio;
- Madri con tre o più figli: il contributo è riconosciuto fino al compimento dei 18 anni del figlio più piccolo.
Possono accedere al Bonus:
- le lavoratrici dipendenti, pubbliche e private (ad eccezione del lavoro domestico);
- le lavoratrici autonome iscritte a gestioni previdenziali obbligatorie, comprese le casse professionali e la Gestione Separata INPS.
È inoltre richiesto che il reddito da lavoro annuo non superi i 40.000 euro.
Non possono fare richiesta le madri di 3 o più figli, con contratto di lavoro a tempo indeterminato che stanno già usufruendo dell’esonero contributivo.
Importo e modalità di erogazione
Il Bonus consiste in un contributo mensile di 40 euro, esente da imposte e non rilevante ai fini ISEE.
L’INPS provvederà all’erogazione in un’unica soluzione, entro dicembre 2025 (o, al più tardi, febbraio 2026), per un massimo di 12 mensilità, pari a 480 euro annui.
Finalità della misura
L’intervento mira a sostenere la genitorialità e l’occupazione femminile, offrendo un contributo immediato alle madri lavoratrici in attesa della piena attuazione delle misure strutturali previste per il 2026.
La circolare INPS n. 139/2025 fornisce tutti i dettagli operativi in merito a domande, requisiti e modalità di accredito. Lo Studio rimane a disposizione per dubbi o per un aiuto nel compilare la domanda.
Aggiornamento relativo al Registro Titolari Effettivi
Ultimo aggiornamento 28.10.2025
La Commissione europea ha recentemente aperto una procedura di infrazione verso l’Italia e verso diversi altri Stati Ue, per inadempimento riguardo al recepimento delle norme sulla operatività del Registro dei Titolari Effettivi, sospese principalmente per problemi legati alla privacy.
L’Italia, dopo le precedenti sospensioni, da ultimo quella del Consiglio di Stato con l’Ordinanza n. 8245/2024 pubblicata il 15/10/2024, ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea alcune questioni pregiudiziali sulla tenuta del Registro dei Titolari Effettivi presso la Camera di Commercio, sospendendo l’obbligo di comunicazione del titolare stesso nelle more della decisione della Corte.
Il 02/10/2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare lo schema di decreto legislativo di modifica e integrazione del D.Lgs. n. 231/2007 (cosiddetta “Legge Antiriciclaggio”) per il recepimento dell’art. 74 della direttiva UE n. 2024/1640, che apporta alcune modifiche alla disciplina di istituzione del registro, in modo da restringere l’accesso ai dati sui Titolari Effettivi ai soggetti che dimostrano uno specifico interesse al riguardo. Questo intervento normativo mira a sterilizzare la procedura di infrazione, ad oggi comunque l’obbligo di comunicazione rimane sospeso in attesa della sentenza della Corte di Giustizia Europea.
Lo Studio rimane a disposizione per ogni utile chiarimento.
Legge 132/2025: nuove norme penali su reati commessi con l’intelligenza artificiale
Ultimo aggiornamento 07.10.2025
Entrano in vigore da venerdì 10 ottobre le nuove disposizioni introdotte dalla legge 132/2025, che aggiorna il Codice penale e altre normative per affrontare i rischi legati all’uso improprio dell’intelligenza artificiale (AI). La riforma introduce nuovi reati, inasprisce pene esistenti e prevede aggravanti specifiche per chi utilizza sistemi AI nella commissione di illeciti.
Il nuovo reato di diffusione illecita di contenuti AI
La principale novità è l’inserimento nel Codice penale dell’articolo 612-quater, che punisce la diffusione illecita di contenuti generati o alterati con l’intelligenza artificiale.
Chiunque diffonda, senza consenso, immagini, video o audio falsificati con sistemi AI, causando un danno ingiusto a una persona, rischia da uno a cinque anni di reclusione.
La norma mira a tutelare la libertà morale e l’autodeterminazione della persona, riconoscendo la particolare pericolosità delle manipolazioni digitali capaci di ingannare sulla genuinità dei contenuti.
Aggravanti per reati commessi con l’AI
Tra le aggravanti comuni viene introdotta quella per l’uso di sistemi di intelligenza artificiale come mezzo insidioso o ostacolo alla difesa della vittima. L’aggravante si applica anche quando l’impiego dell’AI accentua gli effetti del reato.
Implicazioni per le imprese
Le novità toccano anche il diritto penale dell’economia.
- L’aggiotaggio societario e bancario (art. 2637 c.c.) commesso mediante AI è ora punito con la reclusione da due a sette anni (contro l’attuale da uno a cinque).
- La manipolazione del mercato (art. 185 del TUF) effettuata con sistemi AI prevede pene da due a sette anni di reclusione e multe da 25mila a 6 milioni di euro.
Resta da chiarire se si applichi il “raddoppio” delle pene previsto dalla legge 262/2005, per evitare possibili contrasti di proporzionalità e coerenza costituzionale.
Tutela del diritto d’autore
La legge estende inoltre la punibilità del cosiddetto “plagio artistico” (art. 171 della legge 633/1941) anche alle condotte di text e data mining abusivi, cioè all’estrazione non autorizzata di testi o dati da opere protette online mediante sistemi AI.
Prossimi sviluppi
Entro dodici mesi il Governo dovrà introdurre ulteriori fattispecie penali, volte a sanzionare l’omessa adozione di misure di sicurezza nella produzione o uso professionale dell’intelligenza artificiale, quando da tali omissioni possano derivare pericoli per la vita, la sicurezza pubblica o lo Stato.
Tax Control Framework: un’opportunità anche per le PMI
Ultimo aggiornamento 29.09.2025
Il Tax Control Framework (TCF) è un sistema di procedure, regole e controlli interni che consente alle imprese di gestire in modo strutturato i rischi fiscali. Nato in contesti di grandi aziende, oggi rappresenta una leva strategica anche per le piccole e medie imprese (PMI) che vogliono rafforzare la propria affidabilità e trasparenza nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria e degli stakeholder.
Perché adottarlo
Un TCF ben progettato permette di:
- prevenire errori o contestazioni fiscali;
- garantire coerenza tra scelte operative e normative vigenti;
- migliorare l’organizzazione interna e la tracciabilità dei processi;
- rafforzare la reputazione dell’impresa, anche in vista di rapporti con banche, investitori e partner.
Benefici concreti per le PMI
Nonostante le risorse più limitate rispetto alle grandi realtà, le PMI possono ottenere vantaggi significativi:
- riduzione del rischio di sanzioni e contenziosi;
- maggiore efficienza nella gestione amministrativa e contabile;
- accesso più agevole a regimi di adempimento collaborativo introdotti dall’Agenzia delle Entrate;
- supporto alla crescita, grazie a processi aziendali più solidi e documentati.
Cosa deve fare la società
Implementare un Tax Control Framework non significa creare burocrazia inutile, ma costruire un modello “su misura” per l’impresa. I primi passi sono:
- mappare i processi fiscali esistenti;
- individuare i principali rischi e punti di controllo;
- definire ruoli e responsabilità;
- documentare e monitorare le procedure nel tempo.
Conclusioni
Per una PMI, investire in un Tax Control Framework significa non solo mettersi al riparo da rischi fiscali, ma anche rafforzare la propria credibilità sul mercato e aprirsi a nuove opportunità di crescita.
Vuoi scoprire come applicare il Tax Control Framework nella tua impresa? Contattaci: ti aiuteremo a trasformare la gestione fiscale in un vero vantaggio competitivo.
Direttiva NIS2: nuove regole per la governance della cybersecurity
Ultimo aggiornamento 25.09.2025
Il cyber risk è oggi uno dei rischi più rilevanti per le imprese, capace di incidere trasversalmente su attività, processi e stakeholder. Per questo motivo la gestione della sicurezza informatica non può più essere considerata un tema solo tecnico, ma deve diventare parte integrante della governance aziendale. Come tutti i rischi dovrà essere gestito anche attraverso la previsione di adeguati assetti organizzativi.
Con il Decreto Legislativo n. 138, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1° ottobre 2024, l’Italia ha recepito la Direttiva (UE) 2022/2555, meglio conosciuta come Direttiva NIS2. La normativa mira a garantire un elevato livello comune di cibersicurezza in tutta l’Unione Europea, anche in risposta al crescente numero di attacchi informatici che mettono a rischio le attività economiche e i servizi essenziali.
A chi si applica la NIS2?
L’art. 3 del decreto definisce l’ambito soggettivo della direttiva, distinguendo tra:
- Settori ad alta criticità: questi settori sono considerati vitali per il funzionamento socioeconomico dell’UE e, di conseguenza, le organizzazioni che operano in questi settori sono soggette a requisiti rigorosi in termini di sicurezza informatica. Ad esempio, energia (elettricità, gas, petrolio, idrogeno, teleriscaldamento), trasporti (aereo, ferroviario, marittimo, stradale), sanità, bancario e altri settori considerati vitali per il funzionamento socio-economico dell’UE.
- Settori critici: in aggiunta, la NIS 2 identifica “altri settori critici”, di cui fa parte un ulteriore gruppo di organizzazioni tenute a rispettare i requisiti di sicurezza imposti dalla direttiva. Rientrano in questa categoria, i servizi postali e di corriere, la gestione dei rifiuti, chimico, agroalimentare, produzione e distribuzione di alimenti, oltre ad altre attività rilevanti per la sicurezza collettiva.
👉 La direttiva si applica principalmente a medie e grandi imprese, secondo i criteri europei di classificazione, ma può includere anche realtà più piccole se considerate strategiche a livello nazionale.
👉 Sono interessati anche i soggetti della catena di fornitura delle organizzazioni rientranti nei settori sopra citati.
Obblighi per imprese
Il decreto introduce diversi adempimenti fondamentali:
- Registrazione presso l’ACN (Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale) tramite autovalutazione.
- Nomina di un punto di contatto interno e di un sostituto, come interlocutori ufficiali con l’ACN.
- Notifica obbligatoria degli incidenti informatici.
- Adozione di misure tecniche e organizzative per la gestione del rischio cyber.
⏱ I soggetti hanno 9 o 18 mesi di tempo, a partire dall’iscrizione negli elenchi ACN, per adeguarsi agli obblighi previsti.
Il ruolo degli organi amministrativi e direttivi
La normativa attribuisce nuove responsabilità dirette agli organi di amministrazione e direzione:
- approvare le modalità di gestione del rischio informatico;
- vigilare sull’attuazione degli obblighi previsti dal decreto;
- assumere responsabilità in caso di inadempienze;
- seguire formazione obbligatoria in materia di sicurezza informatica e promuoverla all’interno dell’organizzazione.
Perché è una svolta importante
La Direttiva NIS2 rappresenta una vera e propria rivoluzione nella governance della cybersecurity: non si tratta più di una questione solo tecnica, ma di un tema che coinvolge strategia, organizzazione e responsabilità manageriali.
Per le imprese e le pubbliche amministrazioni, l’adeguamento alla normativa non è solo un obbligo, ma un’occasione per rafforzare la resilienza digitale e la fiducia di clienti, partner e cittadini.
Comunicazione importante: chiarimenti sulla normativa relativa al domicilio digitale
Ultimo aggiornamento 01.07.2025
Desideriamo informarvi, in linea con quanto confermato dalla nota di Unioncamere del 2 aprile scorso, che non esiste alcun termine al 30 giugno 2025 né sono previste sanzioni amministrative per i soggetti che, al 1° gennaio 2025, ricoprivano il ruolo di amministratori di imprese costituite in forma societaria e che non abbiano ancora iscritto il proprio domicilio digitale ai sensi dell’articolo 1, comma 860, della Legge 207/2024.
È importante sottolineare che questa disposizione di legge non prevede sanzioni o scadenze specifiche in merito. Tuttavia, si conferma l’obbligo di comunicare il domicilio digitale al momento della costituzione di nuove società o in occasione di nomine e conferme di amministratori. La mancata comunicazione in questi casi può comportare la sospensione della pratica amministrativa.
Il MIMIT nella nota 25.6.2025 n. 127654, pur conservando un diverso orientamento in merito all’obbligo di comunicazione, ha comunque provveduto a rinviare la scadenza al 31.12.2025.
Se hai bisogno di ulteriori chiarimenti o assistenza, siamo qui per aiutarti!
Obbligo di Iscrizione nel Registro delle Imprese del Domicilio Digitale (PEC) degli Amministratori: Chiarimenti dalla Nota MIMIT del 12.3.2025
Ultimo aggiornamento 17.03.2025
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha recentemente fornito importanti chiarimenti riguardo all’obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese del domicilio digitale (PEC) degli amministratori delle società, stabilito dall’art. 1, comma 860 della Legge n. 207/2024. La Nota MIMIT 12.3.2025 n. 43836 offre i primi dettagli applicativi in merito a questa nuova disposizione legislativa.
Le principali novità e chiarimenti:
- Obbligo esteso anche alle società già costituite
L’obbligo di iscrizione della PEC degli amministratori non riguarda solo le nuove società costituite a partire dal 1° gennaio 2025, ma si estende anche alle imprese già esistenti. Per queste ultime, la comunicazione dell’indirizzo PEC degli amministratori potrà essere effettuata entro il 30 giugno 2025. - Oggetto della comunicazione: PEC degli amministratori
La comunicazione riguarda la PEC di tutte le persone fisiche o giuridiche che detengono formalmente il potere di gestione degli affari sociali, ricoprendo ruoli dirigenziali e organizzativi. Questo obbligo si applica a chi esercita le funzioni di amministratore, indipendentemente dalla sua forma giuridica (persona fisica o giuridica). - Iscrizione della PEC per ciascun amministratore
L’obbligo di registrazione si riferisce alla persona che ricopre l’incarico di amministratore, e non all’organo collegiale in quanto tale. Pertanto, in presenza di più amministratori, ciascuno di loro dovrà essere iscritto nel registro con un proprio indirizzo PEC. - PEC della società e dell’amministratore non coincidono
La Nota precisa che la comunicazione della PEC dell’amministratore non può coincidere con quella della società, poiché tale prassi potrebbe portare a problematiche interpretative e pratiche, non in linea con lo spirito della normativa. Se una società ha già adottato l’indirizzo PEC della società come PEC dell’amministratore, dovrà procedere alla separazione dei due recapiti, rispettando le nuove disposizioni, e comunicare il corretto indirizzo PEC entro il 30 giugno 2025.
In sintesi:
- Termine per l’iscrizione: 30 giugno 2025 per le società già costituite prima del 1° gennaio 2025.
- Cosa va comunicato: PEC di ogni amministratore, inteso come singolo soggetto e non come organo collegiale.
- Obbligo di aggiornamento: Le società dovranno separare eventuali PEC coincidenti e procedere con l’iscrizione dell’indirizzo PEC di ciascun amministratore.
Queste disposizioni mirano a garantire maggiore trasparenza e accessibilità delle comunicazioni ufficiali, favorendo una gestione più moderna e digitale delle imprese.
Per ulteriori dettagli o assistenza riguardo l’iscrizione della PEC, si consiglia di consultare il nostro Studio.
Obbligo di Polizza Assicurativa per Beni Strumentali Aziendali
Ultimo aggiornamento 26.02.2025
Obbligo di Polizza Assicurativa per Beni Strumentali Aziendali: Scadenza al 31 Marzo 2025
La Legge di Bilancio 2024 (articolo 1, commi 101-112, della legge 30 dicembre 2023, n. 213) ha introdotto un nuovo obbligo per le imprese italiane: stipulare polizze assicurative a copertura dei danni subiti dai beni strumentali aziendali causati da eventi catastrofali. Il termine per adempiere a questa obbligazione è stato posticipato al 31 marzo 2025, rispetto alla data originale fissata al 31 dicembre 2024.
Perché è stato introdotto l’obbligo di polizza?
La misura è stata pensata per garantire alle imprese la continuità produttiva anche a seguito di situazioni critiche derivanti da eventi naturali estremi. L’obiettivo è quindi quello di favorire la prevenzione e rafforzare la resilienza delle aziende di fronte ai danni derivanti da calamità naturali.
L’Italia è uno dei paesi europei più esposti ai rischi sismici e di dissesto idrogeologico. Quasi il 94% dei comuni italiani sono a rischio di frane, alluvioni o erosione costiera. In queste aree operano circa 4,5 milioni di imprese. Secondo il Centro Studi Confindustria, un’interruzione delle attività potrebbe causare alle PMI perdite fino al 5-10% dei ricavi entro il 2040.
Chi è obbligato a stipulare la polizza?
L’obbligo riguarda tutte le imprese con sede legale in Italia, così come le imprese con sede legale all’estero ma con una stabile organizzazione nel nostro paese, iscritte nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2188 del codice civile. Sono esclusi i professionisti e le imprese agricole, che sono invece soggette a regolamentazioni specifiche in materia di fondi mutualistici nazionali per la copertura dei danni catastrofali.
La polizza assicurativa: copertura e modalità
La polizza assicurativa copre i danni diretti ai beni aziendali causati da terremoti, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni. I beni assicurabili includono:
- Fabbricati
- Impianti e macchinari
- Attrezzature industriali e commerciali
- Terreni
Sono escluse dalla copertura le imprese i cui beni immobili sono gravati da abusi edilizi o costruiti senza le necessarie autorizzazioni.
Il contratto deve prevedere una franchigia o scoperto non superiore al 15% del danno, con premi proporzionali al rischio. La classe di rischio dipenderà dalla tipologia di beni e dalla posizione geografica dell’impresa, ad esempio in zone ad alta sismicità.
In caso di modifiche ai parametri, come nuovi investimenti o trasferimenti aziendali, sarà necessario aggiornare la polizza.
Sanzioni e conseguenze
Non sono previste sanzioni dirette per il mancato rispetto dell’obbligo di stipula della polizza. Tuttavia, l’inadempimento potrebbe precludere l’accesso a contributi, sovvenzioni o agevolazioni pubbliche, comprese quelle destinate a far fronte a eventi calamitosi o catastrofali.
Considerazioni finali
Sebbene l’intento della legge sia chiaro e giustificato dalla necessità di proteggere le imprese dai danni derivanti da eventi naturali, il costo delle polizze potrebbe risultare oneroso per alcune aziende, in particolare quelle localizzate in zone a basso rischio catastrofale. Un esempio potrebbe essere un’impresa situata nel Salento, una zona a bassa sismicità, dove il rischio di danni derivanti da eventi naturali è praticamente nullo.
Inoltre, non è stato chiarito se, ai fini di ottenere sovvenzioni pubbliche, sia sufficiente aver rispettato l’obbligo al momento della presentazione della domanda o se l’ente pubblico verificherà che la polizza fosse in vigore prima del 31 marzo 2025. È anche possibile che le compagnie assicurative possano rifiutarsi di stipulare una polizza qualora il rischio catastrofale sia imminente.
Con la scadenza del 31 marzo 2025, si consiglia alle imprese di mettersi in contatto con un consulente di Sinaco per valutare la migliore opzione per soddisfare l’obbligo previsto dalla legge.
Riforma ETS/RUNTS
Ultimo aggiornamento 03.12.2025
Associazioni / Enti: Riforma del Terzo Settore, manca ancora l’autorizzazione della Commissione europea ma operativi i regimi fiscali dal 1 gennaio 2026
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.L. 17 giugno 2025 n. 84 segna una importante novità per la riforma del Terzo settore. La modifica normativa stabilisce, rispettivamente, che l’autorizzazione della Commissione europea sia necessaria per l’efficacia del solo art. 77 (“Titoli di solidarietà”) e che le disposizioni del Titolo X del Codice del Terzo settore si applichino agli ETS a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025. In poche parole, dal 1° gennaio 2026 i regimi fiscali degli ETS saranno operativi (la tolleranza di commercialità delle attività (6% per tre periodi d’imposta) e i regimi forfetari ex artt. 80 e 86 del Codice non necessitano della predetta autorizzazione).
Diventa quindi ineludibile la necessità di valutare l’adeguamento alle norme del D. Lgs. n. 117/2017 con l’adeguamento statutario e l’iscrizione al RUNTS diventando ETS entro il 31 dicembre 2025.
Dal 1° gennaio 2026 (per i soggetti solari) entreranno pienamente in vigore le norme fiscali contenute nel Titolo X del D. Lgs. 117/2017, in particolare quelle afferenti i regimi fiscali agevolati e quelle relative al “coordinamento normativo” di cui all’art. 89, il quale ultimo va a incidere significativamente su alcune disposizioni del TUIR.
Poiché i regimi fiscali si applicheranno dal 1° gennaio 2026, gli enti non iscritti al RUNTS dovranno decidere se:
- diventare ETS (Enti del Terzo Settore);
- sciogliersi; in questo caso sarà necessario devolvere il patrimonio, previa acquisizione del parere obbligatorio e vincolante del Ministero del Lavoro;
- continuare ad operare come Ente non profit perdendo però le agevolazioni fiscali e presumibilmente diventando enti commerciali.
Le “imprese sociali”: manca ancora l’autorizzazione della Commissione europea
Il D.L. fiscale è intervenuto anche con riferimento al D. Lgs. n. 112/2017 riguardante l’impresa sociale, statuendo che le misure fiscali contenute nell’art. 18 (Misure fiscali e di sostegno economico), a eccezione di quelle previste nei commi 3, 4 e 5, si applichino anch’esse a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025. L’autorizzazione della Commissione europea è indispensabile per la completa riforma della disciplina dell’impresa sociale. Ad oggi le “imprese sociali” non possono ancora beneficiare delle agevolazioni fiscali per incentivare gli investimenti a favore di questa categoria di enti del Terzo settore.
IVA – Associazioni: slitta al 1° gennaio 2036 il passaggio dal regime di esclusione a quello di esenzione/imponibilità dei corrispettivi specifici per le attività svolte in conformità alle finalità istituzionali rese nei confronti dei propri associati
Le associazioni senza scopo di lucro usufruiscono dell’agevolazione rappresentata dall’esclusione dall’IVA dei corrispettivi specifici relativi alle attività svolte in conformità alle finalità istituzionali rese nei confronti dei propri associati e associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché degli associati di queste e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.
Questa agevolazione è stata oggetto della procedura di infrazione n. 2008/2010 emessa dalla Commissione europea a seguito del mancato pieno recepimento da parte del nostro legislatore della Direttiva IVA (non corretto recepimento della Direttiva 2006/112/CE, relativamente alle esenzioni previste dall’articolo 132).
Secondo quanto previsto dalla Commissione europea, difatti, ogni cessione di beni ed erogazione di servizi, effettuata dietro corrispettivo dovrebbe essere considerata imponibile IVA, mentre la normativa italiana prevede alcuni casi di esclusione, tra cui quelli previsti per gli enti associativi non commerciali.
A causa della procedura di infrazione, il Governo è intervenuto con un Decreto Legge (D.L. n. 146/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 215/2021) di modifica dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/72 stabilendo la rilevanza ai fini iva di una serie di attività che attualmente, per gli enti non lucrativi di tipo associativo sono considerate “escluse” dall’imposta. La modifica, inizialmente prevista con decorrenza dal 21.12.2021, è stata prorogata e applicabile a partire dal 1.1.2026 e obbligherà molte associazioni all’apertura della Partita Iva.
Il 20 novembre, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema del D.Lgs. (si attende la pubblicazione in G.U.) sulla riforma fiscale e altre novità che riguardano gli enti associativi, in particolare:
- rinvio al 2036 dell’efficacia delle norme del D.L. n. 146/2021; rimane in vigore il regime di esclusione Iva per corrispettivi specifici versati da associati, partecipanti o tesserati per lo svolgimento delle attività istituzionali (articolo 4, comma 4, del decreto Iva), pertanto non ci sarà l’obbligo di apertura della P. Iva per tali attività;
- per le ODV e APS: si conferma il quadro di semplificazione introdotto dal 2026 per tali associazioni se opteranno per il nuovo regime forfettario di cui all’articolo 86 del Cts. Nello specifico, e in continuità con l’impianto burocratico tipico della legge 398/1991 (abrogata dal 1/1/2026 per tali enti), Odv e Aps in regime forfettario beneficeranno dell’esonero dagli obblighi di certificazione dei corrispettivi incassati, nonché dall’insieme di adempimenti connessi alla memorizzazione elettronica, trasmissione telematica e tenuta del registratore di cassa.
Per maggiori informazioni vi invitiamo a contattare un nostro consulente.
Credito d'imposta per investimenti relativi al piano transizione 5.0
Ultimo aggiornamento 20.05.2024
Il 30 aprile 2024 è stato pubblicato in GU la Legge n 56/2024 che riporta alcune ulteriori disposizioni per l’attuazione del PNRR.
Tra queste, l’art. 38 del DL 2.3.2024 n. 19 (c.d. DL “PNRR”), conv. L. 29.4.2024 n. 56, ha introdotto un nuovo credito d’imposta per gli investimenti effettuati nel 2024 e 2025 relativi al piano transizione 5.0.
Che cos’è?
Il credito d’imposta viene riconosciuto a tutte le imprese residenti nel territorio dello Stato che negli anni 2024 e 2025 effettuano nuovi investimenti in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, nell’ambito di progetti di innovazione che conseguono una riduzione dei consumi energetici alle condizioni, nelle misure ed entro i limiti di spesa stabiliti dalle norme in commento.
Sono agevolabili gli investimenti (acquisto o leasing) in beni strumentali materiali (macchine utensili, robot, magazzini automatizzati) e immateriali (software) tecnologicamente avanzati e interconnessi ai sistemi di fabbrica che conseguono una riduzione dei consumi energetici o che monitorano i consumi dell’energia autoprodotta o che introducono meccanismi di efficienza energetica.
Ad esempio, immobilizzazioni immateriali che possono dar origine al contributo sono i software o i sistemi che permettono di visualizzare e monitorare in via continuativa i consumi energetici, l’energia autoprodotta e autoconsumata.
Tra gli investimenti in immobilizzazioni materiali ammissibili rientrano, ad esempio, l’acquisto di beni strumentali all’esercizio d’impresa che permettono l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinate all’autoconsumo, oppure gli impianti di stoccaggio dell’energia prodotta.
Sotto certe condizioni, sono agevolabili anche le spese per la formazione del personale previste dall’art. 31, paragrafo 3, del regolamento della Commissione (UE) 651/2014, finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle tecnologie rilevanti per la transizione digitale ed energetica dei processi produttivi.
La misura dell’agevolazione
La misura del credito d’imposta varia a seconda del livello di riduzione dei consumi energetici conseguita mediante gli investimenti agevolabili a condizione che siano usati in progetti di innovazione che riducano i consumi energetici della struttura produttiva di almeno il 3% (oppure i processi interessati dall’investimento almeno del 5%).
Facciamo un esempio, se mediante gli investimenti agevolati, la struttura produttiva cui si riferisce il progetto di innovazione consegue complessivamente una riduzione dei consumi energetici non inferiore al 3% o, in alternativa, una riduzione dei consumi energetici dei processi interessati dall’investimento non inferiore al 5%, il credito d’imposta riconosciuto è:
- 35% del costo, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni di euro;
- 15% del costo, per la quota di investimenti oltre i 2,5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro;
- 5% del costo, per la quota di investimenti oltre i 10 milioni di euro e fino al limite massimo di costi ammissibili pari a 50 milioni di euro (per anno, per impresa beneficiaria).
All’aumentare della percentuale di riduzione dei consumi energetici, aumenta la percentuale del credito
d’imposta riconosciuto. Sono previste tre classi di efficienza energetica.
Presentare la domanda
Il comma 10 prevede che, per accedere al contributo, le imprese presentino in via telematica, sulla base di un modello standardizzato messo a disposizione dal Gestore dei Servizi Energetici s.p.a (GSE), apposita documentazione.
La documentazione da presentare comprende apposite certificazioni rilasciate da un valutatore indipendente, che, rispetto all’ammissibilità del progetto di investimento e al completamento degli investimenti, attestano:
- ex ante, la riduzione dei consumi energetici conseguibili tramite gli investimenti nei beni;
- ex post, l’effettiva realizzazione degli investimenti conformemente a quanto previsto dalla certificazione ex ante. Il raffronto sarà fatto sui consumi dell’anno precedente a quello di avvio degli investimenti, al netto di variazioni dei volumi produttivi e di fattori esterni condizionanti.
Unitamente a detta documentazione, le disposizioni richiedono una comunicazione concernente la descrizione del progetto di investimento e il costo dello stesso.
A riguardo, per agevolare le piccole e medie imprese è previsto che le spese di certificazione possono essere portate in aumento del credito d’imposta per un importo non superiore a 10.000 euro.
Modalità di fruizione
La compensazione dovrà avvenire tramite modello F24 entro e non oltre il 31 dicembre 2025 e avverrà in un’unica rata. Dopo tale data, l’eccedenza può essere portata in avanti, ma in questo caso verrà spalmata in cinque rate annuali di pari importo.
Il credito d’imposta non può essere ceduto né trasferito neanche all’interno del consolidato fiscale. Inoltre, l’importo del credito viene ridotto in misura proporzionale se i beni agevolati vengono ceduti a terzi, se vengono destinati a finalità estranee all’attività d’impresa o destinati a stabilimenti diversi da quelli che hanno dato inizialmente diritto all’agevolazione. Infine, il credito viene ridotto in misura corrispondente anche a fronte del mancato esercizio d’opzione per il riscatto del leasing.
Per maggiori informazioni rimandiamo alla Circolare 12 oppure vi invitiamo a contattare un nostro consulente.











